Durante la grande glaciazione, l’arcipelago giapponese (che oggi comprende anche l’attuale Giappone) era una striscia di terra con un mare interno.
Tale arcipelago era delimitato a nord dalla penisola siberiana e a sud dall’attuale Korea.
Gli uomini preistorici migravano con le loro tribù attraverso dei corridoi naturali di terra, tra le diverse aree, dall’Alaska, passando dalla penisola siberiana, fino al Giappone.
Nei loro spostamenti erano seguiti anche dai loro cani e i resti di questi antichi progenitori canini (spitz-type) si sono trovati in scavi archeologici (Joman period) risalenti ad oltre 10.000 anni fa.
Alla fine dell’era glaciale tali migrazioni cessarono a causa dell’isolamento geografico dovuto all’innalzamento del livello del mare che portò all’attuale conformazione delle isole giapponesi, separate dal resto del continente. All’interno dello stesso arcipelago giapponese, caratterizzato a nord da regioni dal clima artico e a sud da zone tropicali, la difficoltà degli spostamenti portò ad una differenziazione biologica dei nativi spitz-type, dando origine a diverse popolazioni canine.
Tale selezione genetica portò alla formazione di linee di sangue omogenee, determinate sia dalle condizioni climatiche che dalle mansioni svolte.
Con lo svilupparsi delle prime antiche rotte commerciali tra le isole giapponesi e il continente asiatico, gli antenati canini giapponesi furono incrociati con esemplari provenienti principalmente dalla Cina. Dai piccoli “Chinn” molto popolari tra le donne giapponesi, ai cani utilizzati per seguire la caccia col falco dalle caratteristiche simili agli attuali saluki, fino a enormi cani di tipo Mastiff che descritti anche da Marco Polo, venivano utilizzati per la difesa e la guardia dei palazzi nobiliari oltre ad accompagnare in guerra i soldati.
Con lo svilupparsi della via della seta aumentarono anche i viaggi commerciali dal resto del mondo all’arcipelago giapponese con la conseguente importazione anche di cani di origine asiatica e centro europea. Questo incrocio di linee di sangue aumentò in modo esponenziale con l’arrivo dei portoghesi che introdussero cani di origine europea tra i nobili giapponesi. Le importazioni di animali dall’Occidente riprenderanno in seguito con l’arrivo di ingegneri minerari europei che iniziarono a lavorare nelle miniere dell’isola di Honshu.
Parte di questa area è conosciuta come la prefettura di Akita, ma negli anni a cavallo del 1800 era chiamata Dewa, con capitale la città di Odate: situata in una zona montagnosa e fredda, si trovava distante dalle città delle pianure occidentali.
Tale area montagnosa era caratterizzata da una ricca fauna (tra cui.. cinghiali, alci, e orsi). I cani di questa regione, rinomati per le loro grandi dimensioni, furono selezionati per la caccia all’orso e al cinghiale e a tutta la selvaggina di taglia grande.
Durante il periodo feudale in Giappone esistevano diversi tipi di cani: i Ji-Inu, o anche conosciuti come Nambu-Inu, provenienti dal sud della regione; i Kuriya-Inu che erano considerati cani da combattimento, attività purtroppo molto in voga in quel periodo; ed infine i Matagi-Inu, provenienti dalla montagne, il cui termine Matagi significa “cacciatore”.
Essi, infatti, erano adibiti alla guardia dei loro villaggi e, come dice la parola stessa, alla caccia e alla vita quotidiana dei pastori che abitavano la zona. Nelle aree rurali di tutto il Giappone tra i samurai era in voga la lotta tra cani e per tale pratica erano state selezionate diverse linee, fra cui vi erano i Tosa Fighting Dog, un incrocio tra i cani nativi (Tosa) e cani del tipo Mastiff importati dall’Occidente. In queste regioni della provincia di Odate, per aumentare la taglia e la forza durante i combattimenti, i cani nativi (Dewa/Akita area) furono incrociati con Alani, arrivati al seguito degli ingegneri tedeschi, e con i Tibetan Mastiff importati dai commercianti della mongolia. Per completare le fonti storiche, si ipotizzano incroci anche con i San Bernardo e i Bulldogs.
Un forte impulso alla preservazione delle razze canine autoctone si ebbe nel corso del ventesimo secolo in concomitanza con il rinato spirito nazionale giapponese propenso a valorizzare la storia e la cultura della propria patria.
Il più importante esponente di questo movimento fu il Prof. Shozaburo Watase che pubblicò, nel 1915 sul Japanese magazine, un articolo sui cani giapponesi.
Lo stesso professore fece parte del comitato ministeriale per la preservazione delle razze canine giapponesi. Il lavoro del prof. Watase e di altri studiosi raggiunse il traguardo più importante nel giugno del 1931, quando il governo giapponese dichiarò il cane grande giapponese quale monumento nazionale. Riconoscendo allo stesso il nome della prefettura di Akita, del quale era originario (infatti il nucleo di partenza per la selezione di questa razza fu costituito da alcuni esemplari provenienti da questa remota provincia del Giappone-Matagi Inu), il comitato di tutela della razza Akita scrisse lo standard nel 1934. Sullo slancio emotivo della tutela degli akita negli anni seguenti, diverse razze furono riconosciute. Tra i cani di taglia media vi furono: i Kai (Kai-Ken), i Kishu, i Shikoku e gli Hokkaido.
Come tutti i movimenti cinofili anche quello giapponese visse momenti difficili durante il periodo della Seconda Guerra mondiale. Soprattutto gli Akita rischiarono l’estinzione sia a causa delle grandi dimensioni (limitate scorte alimentari e alti costi della vita) sia per l’utilizzo della sua calda pelliccia, utilizzata nell’imbottitura delle divise militari degli aviatori nipponici. Soprattutto nelle regioni con economia rurale la polizia diede ordine di abbattere tutti i cani di taglia grande, ad esclusione dei pastori tedeschi che venivano utilizzati sia per mansioni di ordine pubblico che per la guerra.
La situazione per i cani di Akita alla fine del conflitto era drammatica a causa del numero esiguo di esemplari sopravvissuti. Un impulso fondamentale alla rinascita della razza fu dato dalla nascita nel 1948 della prima organizzazione di tutela della razza (Akitainu Kyokai) che riprese energicamente la strada della tutela e valorizzazione della razza.
Come ricordato in precedenza durante gli anni della guerra si fecero numerosi incroci di esemplari di Akita con altre razze, specialmente con i pastori tedeschi.
Alla fine della guerra molti allevatori cercarono di ricondurre il cane di Akita alle sue vecchie origini, cercando di sradicare qualsiasi segno riconducibile a questi incroci.
Da questa selezione due linee di sangue (entrambe nate nell’area di Odate/Akita) assunsero popolarità nel dopo guerra: Kongo-Go e Goromaru-Go.
Kongo-Go fu molto popolare nelle esposizioni canine e venne data molta pubblicità a questa linea di sangue. Fu soprannominato Kurogama, o sesamo, per il suo colore quello che venne descritto come un ombreggiato nero o nero con un sottopelo marrone.
Nel periodo tra il 1800 e i primi del novecento diversi incroci erano avvenuti tra cani della linea akita con soggetti di altre razze (Tosa Fighting dog) e altri cani europei del genere Mastiff. Questo portò ad una situazione ove convivevano diverse linee di sangue.
Per togliere i caratteri della linea Kurogama gli allevatori iniziarono a sviluppare cani della linea Ichinoseki dal quale prese vita la linea Goromaru Go.
Questi erano cani pezzati rossi con la maschera del muso nera. Lo sviluppo della razza in America parte appunto da questi soggetti della Kongo Lines.
Un ruolo importante per l’introduzione di questa splendida razza in America fu quello della Sig.ra Helen Keller che, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale (1937), visitò il Giappone per scopi umanitari. Dopo aver saputo della storia di Hachi-Ko, chiese di poter conoscere la razza. Mr Ogasawara, componente della polizia della Prefettura di Akita la omaggiò di un cucciolo (Kamikaze-go) che purtroppo perì solo alcuni mesi dopo il suo arrivo negli States. Ormai innamorata della razza, la signora Keller importò un altro cucciolo, fratello del primo, Kenzan-go, che visse fino alla sua morte naturale al fianco di Helen.
Nel corso dell’occupazione americana molti dei militari vennero catturati dalla bellezza e dal carattere di questi indomiti amici a quattro zampe. Molti di questi militari al rientro in patria portarono alcuni cuccioli della razza Akita e da queste prime importazioni crebbe notevolmente la fama di questi cani tra gli abitanti degli Stati Uniti.
La notorietà di questa razza portò nel 1956 una trentina di allevatori a fondare l’Akita Kennel Club, che nel 1960 cambiò in quello che è ancora oggi il suo nome: Akita Club of America (www.akitaclub.org).
Nel 1955 venne pubblicato, dalla passione di alcuni allevatori americani con la collaborazione del direttore del Japan Kennel Club, uno standard di questa razza per gli Stati Uniti.
A seguito della delibera del 1° gennaio 1956 dell’American kennel Club la razza fu ammessa a partecipare alle mostre canine.
Il primo Akita a vincere una mostra nella Miscellaneous class fu Fisher’s Homare Maiku-Go (Orange empire Dog Club show-Jannuary 1956).
Si dovrà attendere il 1972 perché gli Akita vengano registrati nell’American Kennel Club.